IUniScuola. La storia a lieto fine del decano dei Precari

Caro Paolo ho letto con molta attenzione e interesse l’intervista rilasciata al quotidiano Il Giorno il 21 agosto 2007e sono molto orgoglioso della Tua scelta di avermi seguito nella mia nuova esperienza nella IUniScuola Sindacato Istruzione ,dove continuerò a impegnarmi per il superamento dei contratti precari eterni del personale della Scuola. “NO A CPE” nelle rituali manifestazioni annuali,ma in tutte le occasioni! Leonardo Donofrio L’ intervista rilasciata a G.Anastasio per Il Giorno:”LA STORIA A LIETO FINE DEL DECANO DEI PRECARI Una caccia lunga una vita, Paolo di ruolo a 54 anni. Ora Insegnerà a Moreschi, la scuola in cui aveva iniziato.
Ai giovani dice: siate professionali e non aspettatevi gratificazioni SACRIFICI :
“Il mio non è stato un bel vivere: non ho potuto metter su famiglia”
L’ULTIMO INCARICO L’anno scorso ha sostituito il prof che ha collezionato il 70% di assenze


NON VEDO L’ORA di sedermi dietro alla cattedra. Chissà quali saranno le emozioni del primo giorno di scuola, sarà bello calarsi in questa nuova dimensione”. Potrebbero essere le parole di un docente agli esordi. Sono, invece, le parole di Paolo Guaccio, un professore di 54 anni, che solo quest’estate ha ricevuto la telefonata attesa per Ventiquattro anni: “Paolo - gli ha detto Aldo Tropea, uno dei suoi presidi, uno dei pochi che non si è stancato di incoraggiarlo -, quest’anno ci siamo: sei passato di ruolo”. Così il decano dei precari di Milano è diventato “professore di Economia Aziendale a tutti gli effetti”. All’istituto Moreschi. La stessa scuola in cui aveva iniziato a insegnare, 24 anni fa. “Si riparte da dove avevo cominciato. Si riparte davvero: non sono più un tappabuchi, da settembre potrò fare il mio lavoro”. “Chissà come sarà…” continua a ripetere.

AVEVA ricevuto una telefonata analoga, nel 2004, quando lavorava a Legnano. “L’ultima grande delusione - ricorda Guaccio -: allora fu un sindacalista a chiamarmi. ‘Quest’anno è l’anno buono, non ci saranno problemi. E invece mi passarono davanti altre persone. Per l’ennesima volta”. “No, il mio non è stato un bel vivere” ammette amaro. “Una storia di sacrifici”. Milano, Cesano Maderno, Sesto San Giovanni, Parabiago, Paderno Dugnano, Cologno Monzese, Gorgonzola, Legnano, poi ancora Milano: Paolo Guaccio ricorda ogni incarico, basta un attimo per metterli in fila lungo la personale linea del tempo che, prima di quest’estate, non sembrava potesse avere un punto di fermata. Istituto Moreschi, qui la tanto attesa fine della corsa. Milano, via Console Marcello, casa sua, da sempre, l’altro punto fermo. “Non ho mai lasciato Milano e la casa in cui sono nato e cresciuto, nonostante il lavoro m’abbia portato dappertutto”. Oltre a Tropea, ringrazia i suoi genitori e pochi altri: “Quando si è stabilmente precari si finisce col condizionare la vita di chi ti sta affianco. Loro e qualche collega mi hanno sempre supportato”. Nessuna moglie:

“Come si fa a metter su famiglia quando rimedi solo incarichi annuali? No,non mi sono potuto prendere questa responsabilità”.

CE NE SONO STATI di momenti difficili. “Ma non è mai arrivato il momento del pentimento: non ho mai rinnegato la scelta di fare il professore”. Chi cercasse una prova della sua passione per il mestiere, gli rivolga la più semplice delle domande: “Ora come si sente?”. “La gioia è sopita dalle due bocciature rimediate alla maturità da miei studenti: la commissione è stata dura. Punitiva”. Non si trattava di una classe come le altre. Si trattava della classe del Moreschi in cui a tenere lezione avrebbe dovuto essere il professore balzato agli onori delle cronache per il suo assenteismo. Professore di economia aziendale, come Paolo, che l’ha sostituito per un numero di ore pari al 70 per cento del totale. “Già l’anno prima, in quarta, quei ragazzi avevano cambiato tre insegnanti. Poi il professor M: li ho trovati entusiasti ma, dal punto di vista del programma, molto, molto indietro. La commissione avrebbe dovuto tenerne conto”. Benché lo definisca “tragico”, ride pensando all’ultimo anno: “Dopo nove mesi a supplire il professor M. non potevano chic darmi il posto”. Paolo ora si gode le ferie lontano da Milano. Tra poco gli uffici del provveditorato saranno invasi da aspiranti docenti. “Non è detto che debbano passare 24 anni prima di sistemarsi. Ai giovani che vogliono insegnare dico di lavorare sempre con gusto e professionalità”. Ma anche “di avere pazienza, di essere disponibili e di non attendersi alcuna gratificazione da studenti, colleghi e ministero. La nostra è una missione. Onori e carriera si cercano in altri modi”.

G. Anastasio

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